Gera. La piazzaforte degli Asburgo

L’evento

Tra maggio e giugno 2011 è stato organizzato l’itinerario tematico intitolato Gera. La piazzaforte degli Asburgo.

Ideato e condotto da Davide, l’appuntamento è stato dedicato alla storia e all’architettura delle fortificazioni di Gera, parte della fortezza cremonese di Pizzighettone ubicata sulla sponda occidentale del fiume Adda.

Il periodo storico su cui si è concentrato l’evento copre l’arco temporale compreso fra il XVII e il XVIII secolo: la dominazione del casato Asburgo (di Spagna e d’Austria) prima sul Ducato di Milano (fino al Settecento), poi sul Regno Lombardo-Veneto (nel XIX secolo).

Davide ha distribuito la sua spiegazione lungo un percorso guidato a tappe attraverso gli spazî e le strutture dell’antica piazzaforte geraiola, fatta costruire proprio dagli Asburgo alla metà del Seicento.

Il conduttore ha basato il proprio discorso sugli esiti delle ricerche storiche e architettoniche che effettua nel Nord Italia e che riguardano il basso Medioevo, il Rinascimento e l’Età Moderna.

La storia

La nascita delle opere difensive che circondano la borgata pizzighettonese di Gera risale agli Anni Cinquanta del XVII secolo. In quel tempo il centro situato sulle sponde del fiume Adda era parte del Ducato di Milano, sottoposto alla sovranità del re delle Spagne Filippo IV d’Asburgo (1605-1665).

Il contesto storico in cui sorsero le fortificazioni geraiole è quello della Guerra Franco-Spagnola: parte della più ampia Guerra dei Trent’Anni, si combatté a più riprese fra il quarto e il sesto decennio del Seicento e vide opposti i regni di Francia e di Spagna con i rispettivi alleàti.

Lo stato milanese era situato lungo il Camino Español: una serie di territorî che erano controllàti più o meno direttamente dagli Austrias e che consentivano alla Corona iberica di far transitare truppe e materiali fra il mare del Nord, i Paesi Bassi Spagnoli e il mar Mediterraneo aggirando a Est i dominî francesi.

Ubicata sulla sponda sinistra dell’Adda, la piazzaforte di Pizzighettone controllava il guado sul fiume da cui transitava il principale asse viario tra il Cremonese, il Lodigiano e il cuore della Lombardia spagnola.

La Plaza de Piciguiton rappresentava un caposaldo strategico per la difesa della parte orientale dello stato milanese: si trovava a circa dieci chilometri a Sud della frontiera con la Repubblica di Venezia (che dominava il Cremasco) e a circa otto chilometri a Nord-Ovest del confine con il Ducato di Parma e Piacenza (che controllava l’Oltrepò Piacentino).

Le operazioni militari sostenute prima dal re di Francia Luigi XIII di Borbone (1601-1643) e poi da suo figlio Luigi XIV (detto il Re Sole, 1638-1715) avevano portato ripetute invasioni e minacce all’Estado de Milán: dapprima con l’appoggio del duca di Parma e Piacenza Odoardo Farnese (1612-1646), poi con quello del duca di Modena e Reggio Francesco I d’Este (1610-1658).

Negli Anni Quaranta del Seicento era emersa la necessità di rafforzare e aggiornare la piazza pizzighettonese: il tracciato delle sue mura era stato impostato fra il XIV e il XV secolo e, benché più volte restaurata per adattarla all’uso della armi da fuoco, l’intera piazzaforte era ritenuta poco efficiente in caso di assedio.

Le più recenti opere che avevano tentato di ovviare significativamente all’obsolescenza delle fortificazioni riverasche risalivano a circa sessant’anni prima ma non erano state portate a compimento.

Riprendendo e modificando questi progetti, nella quinta decade del XVII secolo l’antica cerchia muraria di Pizzighettone era stata coronata da un fronte bastionato costruito con terra e fascine. I lavori erano stati realizzàti sotto il comando del generale Ercole Teodoro Trivulzio (1620-1664) e la direzione tecnica del colonnello codognese Gian Giacomo Tensini.

Alla metà del decennio seguente un’altra campagna fortificatoria interessò la borgata di Gera e la sponda occidentale del fiume Adda, dirimpetto alle fortificazioni pizzighettonesi. Qui, attorno al nucleo dell’abitato geraiolo (odierni assi stradali di Via Antonio Smancini e di Via Antica Lodi), fu eretta ex novo un’opera a corona costituita da tre bastioni, altrettanti rivellini e quattro ali di cortine difensive, sempre utilizzando terra e fascine.

Queste costruzioni furono eseguite sotto il controllo del governatore del Ducato di Milano Luis de Benavides Carrillo, marchese di Caracena (1608-1668) e con la direzione del matematico Alessandro Campione, che delineò il tracciato dell’erigenda corona bastionata.

Le fortificazioni geraiole avevano lo scòpo di proteggere il lato occidentale della piazzaforte pizzighettonese, che era lambito dall’Adda. In questo settore la presenza del fiume garantiva un’immediata e costante protezione naturale ma aveva impedito di ampliare le architetture difensive, che erano rimaste sostanzialmente invariate rispetto al secolo precedente.

A rendere ancor più problematica la difesa del fronte adduano concorreva la presenza del Castello, collocato sulla sponda sinistra del fiume dirimpetto agli edificî settentrionali di Gera. L’obsolescenza delle sue strutture tardomedievali lo aveva trasformato con il passare degli anni da locus fortior dell’intera piazza ad area scarsamente difendibile, non essendovi praticabili significativi adeguamenti all’uso delle armi da fuoco.

La costruzione déi coronamenti bastionàti di Pizzighettone e Gera influì drasticamente sull’aspetto del centro riverasco e sull’economia della comunità locale: decine di ettari di terreni coltivàti furono sottratti all’agricoltura; gli assetti idraulici del territorio furono sconvolti dalla costruzione déi fossati fortilizî e déi loro canali di alimentazione; i collegamenti viarî furono deviàti; tutti i borghi extra moenia di Pizzighettone furono distrutti, così come larga parte dell’abitato geraiolo.

Queste trasformazioni seguirono e precedettero altri profondi mutamenti che interessarono il territorio pizzighettonese alla metà del XVII secolo.

La possibilità di mantenere stabilmente fortificazioni in terra e fascine néi pressi dell’Adda senza che fossero danneggiate con eccessiva frequenza dalle periodiche esondazioni fluviali era stata favorita da precedenti opere di bonifica. Compiuti sotto l’egida del casato Trivulzio fra gli Anni Trenta e Quaranta del Seicento, questi lavori avevano tagliato il córso del fiume a monte e a valle di Pizzighettone: chilometri di meandri erano stati così esclusi dall’asta dell’Adda, riducendone consistentemente la lunghezza.

La crisi politica, sociale ed economica che alla metà del XVII secolo interessava il Ducato di Milano e gli altri dominî degli Austrias spingeva la Corona spagnola a ricercare spasmodicamente fonti di finanziamento, anche tramite la venalità déi titoli nobiliari. Per tentare di supplire al crescente bisogno di risorse finanziarie il Governo iberico decretò l’infeudamento di numerose località lombarde, dietro esborso di cospicue quantità di denaro.

Di nuovo, i Trivulzio furono protagonisti di questa fase della storia riverasca, proponendosi come potenziali feudatarî di Pizzighettone. Nel 1647 la comunità locale aveva evitato questo procedimento pagando una forte somma ma nel 1656 l’abitato fu assegnato come marchesato a Ercole Teodoro.

Tre anni più tardi il Trattato dei Pirenei sancì la fine della Guerra Franco-Spagnola ma non delle situazioni conflittuali tra il regno iberico e quello transalpino, il cui protrarsi néi decenni successivi si ripercosse anche sull’evoluzione delle fortificazioni pizzighettonesi.

Nel 1673, durante la Guerra d’Olanda, alla fortezza geraiola fu aggiunta un’opera distaccata: il Forte di San Pietro. Strutturata anch’essa a corona e fasciata con una scarpa in muratura, occupava l’estremità dell’omonimo costone che sovrasta Gera verso Ovest, nel territorio di Maleo.

La scomparsa di Carlo II (1661-1700), figlio di Filippo IV e ultimo monarca degli Austrias, aprì un periodo travagliato in cui si scontrarono le fazioni sostenitrici déi due principali pretendenti al trono iberico: Filippo di Borbone (1643-1746), appoggiato dal nonno Luigi XIV, e Carlo d’Asburgo (1685-1740), figlio dell’imperatore Leopoldo I (1640-1705).

Occupato dagli eserciti borbonici nel 1701, lo Stato di Milano e i territorî circostanti divennero campo di battaglia per i due contendenti e i rispettivi sostenitori.

La Guerra di Successione Spagnola coinvolse anche le fortificazioni pizzighettonesi. Nell’ottobre 1706 Pizzighettone, difesa da un presidio borbonico composta da novecento uomini tra francesi, spagnoli e svizzeri, fu assediata e conquistata dalle truppe alleate degli Asburgo e déi Savoia, capitanate dal principe Eugenio di Savoia-Soissons (1663-1736).

In particolare, la zona di Gera furono al centro degli scontri fra il 4 e il 6 ottobre: un contingente di seicento uomini conquistò il Forte di San Pietro il 5 ottobre; il giorno seguente novecento fucilieri e duecento granatieri occuparono il corpo di piazza geraiolo. Il resto della fortezza riverasca si arrese entro il 24 ottobre.

Con gli accordi siglàti a Utrecht (1713), a Rastatt, a Baden (1714) e, successivamente, all’Aia (1720), il Ducato milanese fu attribuito agli Asburgo d’Austria: Carlo, che era stato proclamato imperatore dopo la morte del padre Leopoldo e del fratello Giuseppe I (1678-1711), divenne sovrano dello stato lombardo.

Il passaggio alle dipendenze della corte di Vienna provocò profondi mutamenti nell’assetto strategico dello stato milanese e della piazzaforte di Pizzighettone. La neocostituita Lombardia austriaca (che inglobava anche i territorî del Ducato di Mantova) doveva proteggere gli interessi imperiali nel Nord Italia: soprattutto, contro possibili aggressioni provenienti dal Regno di Francia e dai dominî sabaudi.

Se la difesa della Lombardia spagnola aveva privilegiato la direttrice Nord-Sud e la protezione del Camino Español, in quella austriaca fu dedicata attenzione primaria all’asse Ovest-Est: lungo il tracciato viario Mantova-Cremona-Milano, che attraversava il fiume Adda proprio a Pizzighettone.

Questo comportò un rinnovato interesse militare alle opere fortificate geraiole, anche perché il loro assetto, delineato negli Anni Cinquanta del Seicento e mai sottoposto a manutenzioni e aggiornamenti adeguàti, non aveva fornito grandi opportunità di resistenza durante l’assedio dell’ottobre 1706.

Perciò, nel terzo decennio del XVIII secolo il Governo asburgico fece eseguire consistenti lavori di ampliamento e di rafforzamento delle corone bastionate di Pizzighettone e di Gera, sotto l’egida del governatore dello Stato di Milano Girolamo di Colloredo Waldsee Mels (1674-1726).

Sulla riva destra dell’Adda fu mantenuta la struttura impostata su tre capisaldi bastionàti e quattro rivellini. L’intero perimetro esterno del corpo di piazza fu rafforzato da una scarpa in muratura, mentre nel terrapieno delle due cortine difensive verso Nord-Ovest e Sud-Ovest furono ricavate caserme difensive a prova di bomba, affacciate verso il centro abitato. Entro il circuito fortificato furono anche costruiti una casa del comando, una caserma e due polveriere. L’approvvigionamento idrico fu garantito da un acquedotto che si alimentava dalle rogge attorno al sito del Forte di San Pietro. Quest’ultimo, invece, fu abbandonato e posto in disarmo.

La Guerra di Successione Polacca vide il coinvolgimento della piazzaforte pizzighettonese. Nel novembre 1733 il presidio riverasco fu assediato dalle truppe del re di Sardegna Carlo Emanuele III di Savoia (1701-1773) e da quelle del re di Francia Luigi XV di Borbone (1710-1774), comandate dal maresciallo generale Claude Louis Hector de Villars (1653-1734).

Fra l’11 e il 28 novembre la corona bastionata di Gera rappresentò il fronte principale déi combattimenti. Dopo la caduta delle fortificazioni geraiole il comandante della guarnigione asburgica chiese la capitolazione. Così, i 2.300 uomini della guarnigione evacuarono la piazzaforte il 10 dicembre, consegnandola al monarca piemontese.

L’occupazione sabauda di Pizzighettone si protrasse fino al 1736, quando ritornò sotto il controllo delle truppe imperiali. Durante questo periodo al coronamento di Gera fu aggiunto un rivellino in terra battuta, eretto a protezione della cortina Sud-Ovest.

La conclusione della Guerra di Successione Polacca e la Pace di Vienna del 1738 non sopirono i motivi di attrito fra la monarchia asburgica e quella borbonica. Nel 1740 la scomparsa dell’imperatore Carlo VI e la successione al trono da parte di sua figlia Maria Teresa (1717-1780), contestata dai regni di Francia, di Prussia e delle Spagne, innescò una nuova guerra che vide novamente coinvolta la piazza pizzighettonese.

Questa volta la minaccia fu portata da un contingente iberico comandato da Luis Antonio Fernández de Córdoba y Spínola de la Cerda, duca di Medinaceli e marchese di Villalba (1704-1768). Il comandante castigliano, che aveva posto il proprio quartier generale presso Palazzo Trecchi di Maleo, non intraprese un assedio regolare ma si limitò a istituire un blocco attorno alle fortificazioni di Gera.

Con la fine della Guerra di Successione Austriaca e la firma del Trattato di Aquisgrana nel 1748 iniziò per il Ducato di Milano e per Pizzighettone un periodo di relativa tranquillità che si protrasse fino agli ultimi anni del Settecento.

In queste decadi furono compiuti alcuni importanti lavori che coinvolsero Gera e i suoi dintorni: negli Anni Cinquanta la costruzione di un ponte in legno sull’Adda, l’edificazione di argini in muratura lungo il fiume e l’apertura di Porta Milano nella parte Sud delle fortificazioni geraiole; negli Anni Ottanta la realizzazione della massicciata della strada postale Mantova-Milano, che attraversava Gera dalla parte del lungadda.

Nel 1769 passò in visita a Pizzighettone l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo-Lorena (1741-1790), associato al trono dalla madre Maria Teresa. L’ispezione alla piazzaforte non soddisfò il sovrano austriaco, che giudicò le fortificazioni rivierasche deboli e inadeguate.

In un programma di risistemazione logistica e strategica delle difese asburgiche in Italia, nel 1782 fu emanato l’ordine di porre in disarmo il presidio pizzighettonese, con il trasferimento della sua guarnigione e déi suoi armamenti. L’anno successivo gran parte delle opere fortificate di Pizzighettone e di Gera (spalti, fossati, trincee e rivellini) fu pósta all’incanto, per un totale di oltre cinquanta ettari.

Fu la Rivoluzione Francese e la spedizione militare condotta nel Nord Italia dal generale Napoleone Bonaparte (1769-1821) a costringere il Governo asburgico a ripristinare le fortificazioni riverasche. Durante la ritirata delle truppe asburgiche dalla Lombardia occidentale verso Mantova e dopo la Battaglia del Ponte di Lodi, il 12 maggio 1796 la piazzaforte cremonese fu occupata dall’Armée d’Italie.

Incluso nel territorio della Repubblica Cisalpina, il caposaldo adduano fu tenuto dai militari transalpini fino al 1799. Nel maggio di quell’anno un’armata della Seconda Coalizione antifrancese, formata da truppe degli imperi asburgico e russo, assediò e s’impadronì di Pizzighettone.

La riconquista delle posizione perse in Lombardia fu guidata dal medesimo Napoleone Bonaparte, divenuto primo console della Repubblica Francese dopo il Colpo di Stato del 18 Brumaio. Nel 1800 il centro riverasco fu riacquisito alla Repubblica Cisalpina, che nel 1802 fu trasformata nella Repubblica Italiana e tre anni dopo nel Regno d’Italia, di cui Napoleone divenne rispettivamente presidente e monarca.

I comandi francesi e Napoleone in persona progettarono diverse modifiche alla piazzaforte sull’Adda, per adeguarla alla difesa degli interessi napoleonici nel Nord Italia (prevalentemente, contro la potenza asburgica) e al supporto dell’Armée. La cronica penuria di risorse finanziarie e materiali costrinse a ripiegare su interventi di scarso rilievo, che non modificarono significativamente l’assetto impostato fra gli Anni Venti e Trenta del XVIII secolo.

Il Ducato di Milano si era estinto nel 1797 ma nel 1814, con l’abdicazione di Napoleone Bonaparte, l’ex Lombardia austriaca confluì nel Regno Lombardo Veneto, il cui sovrano divenne lo stesso imperatore d’Austria: Francesco I d’Asburgo-Lorena (1768-1835), nipote di Giuseppe II.

Pizzighettone ritornò fra i territorî soggetti alla corte viennese, che negli Anni Trenta dell’Ottocento reimpostò la difesa del Nord Italia asburgico su quattro fortezze dislocate fra Lombardia e Veneto: Legnago, Mantova, Peschiera del Garda e Verona. Chiamato Quadrilatero, questo complesso fortificato faceva sistema con i presidî del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla e con quelli del Ducato di Modena e Reggio. Inoltre, disponeva di un gruppo di capisaldi secondarî, di cui Pizzighettone costituiva una punta avanzata verso Ovest.

Sempre nel quarto decennio del XIX secolo il Governo degli Asburgo-Lorena dispose un restauro delle fortificazioni riverasche. Nella parte di Gera i lavori si concentrarono sul profilo del corpo di piazza e déi rivellini: il ramparo déi bastioni e delle cortine fu risagomato e la scarpa in muratura fu abbassata e irrobustita fornendole una pendenza meno accentuata.

I moti rivoluzionarî del 1848 coinvolsero anche Pizzighettone. Nel marzo di quell’anno, dopo le sollevazioni e i tumulti scoppiati a Milano, Venezia e Brescia, un gruppo di attivisti antiasburgici capeggiati da Giacinto Miglio e sostenuti dall’intendente distrettuale Orazio Oldofredi Tadini (1805-1883), s’impadronì della piazzaforte.

Fra marzo e aprile, durante le sommosse che sfociarono nella Prima Guerra d’Indipendenza italiana la piazza riverasca fu riconquistata dalle truppe del colonnello ungherese Ludwig August von Benedek (1804-1881), quindi occupata da quelle del re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia (1798-1849).

A séguito della sconfitta subita nella Battaglia di Custoza l’esercito sabaudo dovette abbandonare la fortezza pizzighettonese. Per ritardare l’avanzata dell’armata asburgica fu fatta esplodere una polveriera situata sulla sponda sinistra dell’Adda e fu distrutto il ponte in legno che univa le due rive del fiume.

Nell’agosto del medesimo anno il centro adduano ritornò sotto il controllo imperiale e vi rimase fino alla fine del decennio successivo. Nel 1854 fu ricostruito il manufatto ligneo che permetteva l’attraversamento dell’Adda e nel marzo 1857 passarono in visita per Pizzighettone l’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo-Lorena (1830-1916) e sua moglie Elisabetta di Wittelsbach (detta Sissi, 1837-1898).

La presenza asburgica a Pizzighettone terminò nel maggio 1859, durante la Seconda Guerra d’Indipendenza, quando l’avanzata delle truppe guidate dal re di Sardegna Vittorio Emanuele II di Savoia (1820-1878), figlio di Carlo Alberto, costrinse l’esercito dell’imperatore a evacuare la Lombardia.

Inglobata quello stesso anno nel regno sabaudo, la piazzaforte cremonese entrò a far parte nel 1861 delle opere difensive del Regno d’Italia.

L’architettura

Il complesso fortificato di Gera attornia l’omonima borgata pizzighettonese seguendo un tracciato che inizia sulla sponda dell’Adda immediatamente a Nord dell’abitato, prosegue in direzione Ovest-Nord-Ovest, piega verso Sud-Sud-Ovest, quindi si dirige a Sud-Sud-Est e infine verso Ovest-Nord-Ovest, ricongiungendosi alla riva del fiume.

Pur modificata a più riprese nel profilo e nel tracciato durante i decenni (e parzialmente obliterata da successivi rimpieghi dell’area nel XX secolo), la fortificazione mantiene tuttora la medesima impostazione basilare che fu delineata negli Anni Cinquanta del Seicento: un’opera a corona imperniata su un bastione centrale pentagonale e su due strutture bastionate laterali, dotata di cortine, rivellini, fossato e spalti.

Largo circa centoquaranta metri e costituito prevalentemente in terra, il bastione-cardine del corpo di piazza è situato nella parte mediana del coronamento, allo sbocco dell’attuale Via Bastioni (che dal caposaldo prende il nome). Si innalzava fra i quattro e i sei metri rispetto al piano stradale di Gera e fra i sette e i nove metri rispetto al fondo della fossa fortilizia.

La designazione originaria lo indicava come Bastione Caracena (Baluarte de Caracena in spagnolo), in onore del governatore dello Stato di Milano Luis de Benavides Carrillo (per l’appunto, marchese di Caracena), sotto la cui egida furono erette le fortificazioni geraiole. Dopo il passaggio della Lombardia sotto il dominio degli Asburgo d’Austria la struttura fu rinominata in Bastione di San Carlo, dedicandola così all’imperatore Carlo VI d’Asburgo.

Come l’intero corpo di piazza, il caposaldo si presenta fasciato da una scarpa in laterizio che lo recinge dalla parte del fossato e che sostiene la massa di terra del suo ramparo. La scarpatura fu creata negli Anni Venti del Settecento impiegando un sistema a due cartoline murarie raccordate da una modanatura toroidale: quella inferiore, a forte pendenza; quella superiore, verticale.

Alta in origine più di quattro metri, la scarpa fu ridotta a circa tre metri nela quarta decade del XIX secolo, durante l’ultimo restauro asburgico della fortezza geraiola. In quell’occasione la struttura muraria fu irrobustita e risagomata a tutta pendenza, con un’inclinazione ridotta rispetto a quella impostata nel Settecento.

Dalla gola del Bastione Caracena, rispettivamente in direzione Nord-Nord-Ovest e Sud-Sud-Ovest, si dipartono due cortine rettilinee lunghe più di centodieci metri.

Nella parte posteriore del loro ramparo, verso l’abitato di Gera, durante gli Anni Venti del XVIII secolo furono costruite due ali di caserme difensive, dette popolarmente Casematte (termine che origina anche il nome della strada su cui si affacciano, Via Casematte).

Realizzate in laterizio, queste strutture si presentano modulari, con una pianta quadrangolare dal cui centro s’innalza un pilastro anch’esso quadrangolare che sorregge una volta composita. Gli ambienti si dispongono sull’intera lunghezza delle due cortine, sono fra loro intercomunicanti per mezzo di aperture ad arco e dispongono di una porta e di due finestre rivolte verso il borgo.

Il loro numero assomma a ventisei: quattordici a Nord del Bastione Caracena e dodici a Sud (presso la chiesa di San Pietro). Coprono un percorso superiore rispettivamente ai centotrenta e ai centoventi metri.

La linea magistrale della fortezza divide ogni ala in due sezioni simmetriche, raccordate da una sortita carrabile che metteva in comunicazione il corpo di piazza con il fossato e le opere esterne del coronamento. Allo sbocco esterno ogni accesso è affiancato da due vani (uno per lato) che avevano la funzione di latrine e di casematte: erano infatti muniti di postazioni da tiro rivolte verso la fossa fortilizia.

Presenti fin dal XVII secolo, le sortite delle cortine occidentali facevano il paio con altri due ingressi secondarî aperti a Nord e a Sud della fortezza, a circa ottanta metri dal fiume Adda. Nel Settecento questi accessi furono muniti di ponti in legno a scavalco del fossato.

La massa di terra che ricopre le caserme difensive asburgiche garantiva nel passato una copertura alla prova déi bombardamenti. L’acqua percolante attraverso il terreno è drenata convogliandola al margine degli estradossi delle volte (sopra l’arco di intercomunicazione) e fatta defluire per semplice pendenza verso l’odierna Via Casematte, dove scarica tramite una serie di doccioni (originariamente in pietra, oggi in metallo).

Lo scòpo di questo complesso era principalmente quello di stallare gli animali (bovini ed equini) destinàti al servizio della piazzaforte pizzighettonese. Ciascuna semiala delle caserme difensive è perciò dotata di un collettore, ricavato nell’impiantito laterico degli ambienti e dedicato allo spurgo déi liquami: questo manufatto attraversa longitudinalmente la struttura e nel passato era comunicante con l’acquedotto interno della fortezza, da cui si riforniva.

Comunque, le caserme difensive erano concepite come vani multifunzionali. All’occorrenza, erano in grado di provvedere a svariate necessità della fortezza: potevano essere rapidamente convertite in magazzini, depositi temporanei di armi e munizioni, alloggî per la truppa, posti di medicazione, laboratorî.

All’estremità di ogni semiala, dalla parte dell’abitato, si apriva un pozzo destinato all’approvvigionamento idrico. Ogni ambiente è tuttora dotato di camino, posto a fianco del passaggio fra un ambiente e l’altro: la sua canna fumaria è ricavata nel massiccio muro che sostiene la volta ed espelleva i fumi tramite uno scarico a parete aperto in facciata, sempre dalla parte di Gera.

Nel 1944 quattro caserme difensive a Sud della sortita vicina alla chiesa di San Pietro furono trasformate in rifugio antiaereo, tamponando con murature accessi e finestre rivolte verso l’abitato e verso gli altri ambienti dell’antica struttura fortilizia.

L’ambiente più meridionale del complesso fu danneggiato dai bombardamenti aerei che colpirono Pizzighettone nell’ultimo biennio della Seconda Guerra Mondiale.

Nel XX secolo, dopo la trasformazione dell’area fortilizia in un deposito materiali del Regio Esercito, la porzione centrale del ramparo del Bastione Caracena fu sventrata e livellata circa alla quota della scarpa. Con la terra di risulta fu colmato parte del fossato antistante la cortina a Sud dello stesso bastione. Nello spazio così appianato trovarono posto una strada interna al complesso militare e una corderia lunga oltre duecentotrenta metri.

Al termine delle cortine fiancheggianti l’antico Baluarte de Caracena sorgono le due strutture bastionate che costituiscono i capisaldi laterali dell’opera a corona geraiola. Quella è Nord è denominata Bastione di Sant’Antonio (probabilmente, in onore del patrono degli animali) mentre il suo corrispettivo Sud Bastione di San Bassano.

Larghe più di ottanta metri, le due opere si presentavano in origine come bastioni a punta di lancia, muniti di due facce e due fianchi al pari del caposaldo centrale. Negli Anni Venti del Settecento furono risagomàti come mezzi baluardi: sono perciò privi della faccia e del fianco rispettivamente settentrionali e meridionali, che si allineano con le adiacenti cortine a Est.

Il caposaldo di San Bassano e il rettilineo difensivo che da lì si dirige verso il fiume non hanno più i loro rampari, spianàti nel XX secolo al livello del piano stradale dell’abitato. La terra rimossa fu impiegata per colmare parzialmente il fossato antistante la parte meridionale della fortezza.

Dal vertice di questo mezzo baluardo la cortina proseguiva per oltre duecentoventi metri in direzione Est-Nord-est, verso l’Adda. La stessa cosa accade anche sul lato settentrionale, dove la corrispondente struttura, orientata a Est-Sud-Est, supera i centosettanta metri. Entrambe terminavano contro un dente in muratura che si protendeva verso l’esterno del coronamento. L’apparato murario di quello Nord conserva tuttora la scarpatura modellata nel XVIII secolo.

A Est déi due denti il fossato che circonda l’opera a corona di Gera si raccordava con il fiume tramite argini in terra muniti di chiuse.

Sempre nella zona di congiunzione tra le fortificazioni e l’Adda erano collocàti gli ingressi che permettevano di accedere al centro abitato: Porta Bosco a Nord (tuttora conservata, benché piuttosto trasformata) e Porta Milano a Sud (scomparsa). Quest’ultimo accesso fu creato negli Anni Cinquanta del Settecento in corrispondenza del lungadda: sostituì Porta Feriola, che si apriva nella cortina meridionale della fortezza, allo sbocco dell’odierna Via Smancini. Di Porta Milano rimangono alcuni conci marmorei, ricollocàti presso il Lungadda Giuseppe Mazzini nel primo decennio del XXI secolo.

Davanti alle quattro cortine principali, all’interno del fossato, si ergevano altrettanti rivellini a pianta romboidale (detti localmente mezzelune): a Nord San Rocco, denominato così per la prossimità alla chiesa geraiola intitolata ai Santi Rocco e Sebastiano; a Nord-Ovest Ossuna (o Ossona), in onore del governatore dello Stato di Milano don Gaspar Tellez Girón, duca di Osuna (1625-1694); a Sud-Ovest il Rivellino dei Piemontesi (o, popolarmente, Mezzaluna della Roia), che nel nome ricorda la provenienza déi suoi committenti; a Sud San Francesco, che richiamava la presenza di un convento francescano a poco più di un chilometro a Ovest della struttura, sull’omonimo costone.

Larghe dai sessanta ai settanta metri, le opere esterne di San Rocco, Ossuna e di San Francesco furono edificate negli Anni Cinquanta del Seicento, facendo così parte della fortezza geraiola sin dalla sua origine. Il Forte di San Pietro e il Rivellino Ossuna furono rafforzàti con una scarpa muraria già nel XVII secolo, mentre per le opere di San Rocco e di San Francesco la scarpatura fu costruita nel terzo decennio del Settecento, contemporaneamente a quella del corpo di piazza.

Al Rivellino Ossuna furono anche aggiunte quattro caserme difensive ricavate nel ramparo del saliente. Sono quattro ambienti tra loro intercomunicanti, disposti longitudinalmente rispetto alla linea magistrale di quel settore della fortezza, a pianta trapezoidale, con il lato corto occidentale affacciato sulla piazza d’armi del rivellino. Sono coperti da volte in laterizio sormontate dalla terra del ramparo: sistema che garantiva alle strutture una copertura alla prova déi bombardamenti.

Il Rivellino dei Piemontesi, invece, fu edificato nel 1734 durante l’occupazione sabauda di Pizzighettone avvenuta in occasione della Guerra di Successione Polacca. Non fu munito di scarpa in muratura e i resti del suo ramparo sono percepibili con difficoltà a causa della vegetazione che oggi ricopre gran parte dell’antica area fortilizia.

Le due piazze d’armi déi mezzi baluardi di Sant’Antonio e San Bassano ospitavano una polveriera ciascuna. Costruiti negli Anni Venti del XVIII secolo, questi depositi erano edificàti in mattoni, con una pianta quadrangolare di poco superiore alla decina di metri per lato. Disponevano di una copertura a spioventi dalla pendenza piuttosto accentuata, per deflettere bombe e proietti durante gli assedî. Soltanto il magazzino retrostante il mezzo baluardo settentrionale è sopravvissuto.

Dietro la cortina Nord, dalla parte del centro abitato, fu costruito l’edificio del comando. Invece, dietro quella Sud trovò posto una caserma per le truppe del presidio (chiamata Infanterie Kasserne), che dà il nome all’attigua Via Quartiere. Le due strutture furono erette nel terzo decennio del Settecento e avevano un’ampiezza superiore rispettivamente ai cinquanta e ai settanta metri. Benché entrambe sopravvissute, la caserma della fanteria subì la distruzione della propria metà orientale durante i bombardamenti aerei del biennio 1944-1945.

Tutt’attorno al corpo di piazza e ai rivellini, oltre il fossato, si sviluppava un sistema di spalti in terra. Digradanti verso l’esterno della fortezza, questi glacis seguivano l’andamento a punte di stella imposto dal posizionamento déi bastioni e déi rivellini.

Nel Novecento gli spalti furono completamente alteràti dalla costruzione déi capannoni del Genio Militare, che ne utilizzarono il sedime: non è sopravvissuta alcuna porzione che ne rappresenti significativamente l’antica conformazione.

La larghezza del fossato che circondava la fortezza di Gera oscillava fra i centosettanta e i venti metri circa (a seconda della presenza o meno di opere esterne) e la sua profondità variava dai due agli oltre tre metri. Nel mezzo, longitudinalmente rispetto al fronte del corpo di piazza, correva una fustigata con il compito di aumentare ulteriormente la profondità della fossa (anche in funzione antimina) e di spurgare le deiezioni umane e animali provenienti dalle latrine e dalle stalle del corpo di piazza convogliandole verso il fiume Adda.

Sempre nel fossato, davanti ai due denti murarî a Est della fortezza e al saliente di ciascun caposaldo bastionato, lungo la linea capitale, furono costruiti cinque traversoni muniti di chiusa, con lo scopo di compartimentare la fossa e prevenirne il completo svuotamento in caso di prosciugamento operato da un’eventuale forza assediante.

Realizzate in mattoni, queste strutture erano dotate di una copertura a saliente anch’essa costruita in laterizio, che rendeva difficoltoso a potenziali attaccanti impiegare i traversoni come ponti per attraversare il fossato e raggiungere il corpo di piazza. Per scongiurare ulteriormente quest’eventualità i manufatti erano muniti di dama: un cilindro in muratura largo quanto la base del traversone stesso e alto circa due metri dalla cuspide del traversone stesso.

Soltanto il manufatto antistante il dente meridionale non risulta oggi individuabile, mentre gli altri sono sopravvissuti (benché in condizioni non ottimali). Fino alla metà del secondo decennio del XXI secolo il traversone al saliente del mezzo baluardo di San Bassano conservava ancóra la propria dama.

Invece, quello posto a Nord-Ovest faceva parte dell’acquedotto che riforniva d’acqua (non potabile) la fortezza geraiola alimentandosi dalle rogge circostanti il Forte di San Pietro. Un condotto in muratura attraversava la campagna tra il Costone di San Pietro e la fortezza, raggiungeva il traversone del mezzo baluardo di Sant’Antonio, oltrepassava il ramparo di quest’ultimo e sbucava immediatamente a Nord delll’ala settentrionale delle caserme difensive.

Da qui seguiva a cielo aperto il percorso dell’odierna Via Casematte, a metà fra gli edificî del centro abitato e le fortificazioni. Poi, piegava verso l’Infanterie Kasserne (che sottopassava longitudinalmente) e procedeva verso Est-Nord-Est fino a terminare il proprio córso nel fiume Adda.

Come il corpo di piazza di Gera, anche il Forte di San Pietro aveva un tracciato a corona munito di tre bastioni, fossato e spalti. Distava circa duecentocinquanta metri dai glacisdella fortezza ed era collocato sul terrazzo morfologico che sovrasta l’abitato geraiolo: nel territorio di Maleo, presso l’odierna Cascina Macallè. La sua denominazione deriva dalla prossimità con l’antica chiesa di San Pietro in Pirolo: edificio cultuale demolito e ricostruito più volte durante gli anni a causa degli ampliamenti della piazza.

Il forte fu realizzato negli Anni Settanta del XVII secolo isolando tramite sbancamento l’estremità orientale del Costone di San Pietro dal resto del terrazzo morfologico. Ampio più di duecentotrenta metri e realizzato prevalentemente in terra, disponeva di una scarpa in muratura ed era collegato al resto della fortezza tramite un camminamento coperto (cioè, scavato in trincea e munito di proprî spalti ai lati).

Il Forte di San Pietro aveva la funzione di protrarre verso Ovest il raggio difensivo del coronamento geraiolo, rafforzare la protezione del terreno antistante i glacis occidentali e, soprattutto, ostacolare il dispiegamento di batterie d’artiglieria avversarie sulle alture attorno a Gera.

Dopo l’assedio del 1706 la struttura fu ritenuta inefficace e fu obliterata durante i restauri degli Anni Venti del XVIII secolo. Ciononostante, il suo tracciato non scomparve e fu novamente utilizzato dal presidio pizzighettonese durante la battaglia del 1733. Poi, l’area fu abbandonata sino agli Anni Sessanta del XIX secolo, quando fu riadattata a fortificazione distaccata, alterando completamente la struttura del caposaldo asburgico. Il Forte di San Pietro è tuttora conservato in larga parte, benché nulla sia riconoscibile dell’originaria struttura seicentesca.

Info

Luogo:
Pizzighettone (Cremona, Lombardia – Italia), fortificazioni di Gera (Via Antica Lodi/Via Casematte)

Date:
29 maggio, 2, 4 e 5 giugno 2011

E-mail (Davide):
e v e n t i @ t a n s i n i . i t

Telefono (Davide):
(+39) 3 4 9  2 2 0 3 6 9 3

Note:
l’evento è stato ideato e condotto da Davide, che detiene la paternità creativa dell’iniziativa e tutti i relativi diritti; i contenuti da lui illustràti al pubblico durante la manifestazione Gera. La piazzaforte degli Asburgo sono basàti sugli esiti delle sue ricerche in àmbito storico e architettonico

© Davide: tutti i diritti riservàti – Pubblicato l’8 agosto 2022 – Aggiornato al 26 giugno 2024